Inibizione di TDO efficace su modelli di Alzheimer, Parkinson e Huntigton

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 30 aprile 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Lo studio della fisiopatologia finalizzato alla ricerca di terapie per malattie neurodegenerative quali l’Alzheimer, il Parkinson e l’Huntington, segue principalmente piste legate a meccanismi molecolari specifici per ciascuna di queste forme gravi e progressive di danno cerebrale. Una parte della ricerca, però, quale ad esempio quella che indaga i meccanismi di danno e morte cellulare, è focalizzata su processi che interessano allo stesso modo le tre patologie. In alcuni studi recenti, metaboliti della via della chinurenina (KP, kinurenine pathway) nella degradazione metabolica del triptofano sono stati strettamente associati a processi patogenetici comuni a varie malattie neurodegenerative. In generale, perturbazioni della KP sono risultate rilevanti nei processi che portano al danno in modelli sperimentali di malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson e malattia di Huntington; pertanto, la manipolazione di tale via catabolica si ritiene possa avere rilevanza terapeutica.

Carlo Breda, lavorando con Flaviano Giorgini ed altri colleghi dell’Università di Leicester e dell’Università del Maryland, ha sperimentato l’inibizione genetica di due enzimi chiave della KP in modelli sperimentali delle tre malattie. La modificazione dei livelli dei metaboliti neuroattivi ha coinciso con una riduzione dei segni di neurodegenerazione e dei sintomi di malattia. Poi, la sperimentazione di un composto che agisce da inibitore di uno dei due enzimi (TDO) - che negli esperimenti precedenti erano stati inibiti geneticamente - ha fatto registrare l’eliminazione di varie espressioni fenotipiche delle malattie neurodegenerative (Breda C., et al., Tryptophan-2,3-dioxygenase (TDO) inhibition ameliorates neurodegeneration by modulation of kynurenine pathway metabolites. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1604453113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Genetics, University of Leicester, Leicester (Regno Unito); Maryland Psychiatric Research Center, Department of Psychiatry, University of Maryland School of Medicine, Baltimore (Maryland).

Il triptofano, e più propriamente la forma appartenente alla serie stereochimica “L” degli aminoacidi naturali, o L-triptofano, un aminoacido di cui è molto ricco il latte, è una molecola di origine proteica alimentare di grande rilievo per le funzioni del sistema nervoso centrale e per la regolazione endocrina dell’organismo, perché precursore della serotonina (5-idrossitriptamina, 5-HT) e della melatonina. Il triptofano, al pari di altri aminoacidi neutri, è veicolato dal sangue nel cervello attraverso la barriera ematoencefalica (BEE) mediante trasporto facilitato. Lo stesso carrier, ossia la stessa molecola trasportatrice, trasporta altri aminoacidi neutri, quali la fenilalanina, la leucina e la metionina. Perciò l’ingresso di triptofano nel cervello non è in rapporto esclusivo con la sua concentrazione nel sangue, ma è anche funzione del rapporto fra la sua concentrazione e quella degli altri aminoacidi neutri. Per questo motivo, la riduzione dell’apporto alimentare di triptofano associata all’aumento delle altre molecole aminoacidiche in competizione per il carrier, riduce il contenuto di serotonina nel cervello e modifica funzioni e comportamenti dipendenti dai livelli fisiologici di questo neurotrasmettitore[1]. Di passaggio, perché non interessa direttamente l’argomento di questa recensione, ricordiamo che l’enzima triptofano idrossilasi converte nel neurone il triptofano in 5-idrossitriptofano, poi decarbossilato dall’enzima aminoacido decarbossilasi (piridossal-fosfato dipendente) in serotonina (5-HT), la quale, nella ghiandola pineale (o epifisi, posta fuori della BEE) è convertita dall’enzima N-acetiltansferasi in acetil-serotonina che, grazie all’azione della 5-idrossindolo-O-metiltransferasi, è trasformata in melatonina.

La via della chinurenina o delle chinurenine (KP) è una via metabolica di degradazione del triptofano che, attraverso la produzione di chinurenina, idrossichinurenina e acido idrossiantranilico, porta alla formazione di NAD (nicotinammide adenina dinucleotide). La chinurenina, che in natura è metabolita dell’aminoacido essenziale triptofano, è chimicamente l’acido (S)-2-amino-4-(2-aminofenil)-4-oxobutanoico (formula bruta: C10H12N2O3), che si utilizza per la produzione della niacina[2]. Due enzimi con un ruolo fondamentale di regolazione nella via della chinurenina sono la chinurenina-3-monossigenasi (KMO) e la triptofano-2,3-diossigenasi (TDO). Proprio questi due enzimi sono stati inibiti geneticamente da Carlo Breda e colleghi, basandosi su evidenze sperimentali che suggerivano potenzialità terapeutiche per questa inibizione.

Lo studio, che si è sviluppato prendendo le mosse dal tentativo di comprendere le ragioni dell’efficacia della neutralizzazione dei due enzimi regolatori, si è avvalso del cimento in modelli delle tre principali malattie neurodegenerative cerebrali umane[3] realizzati nel moscerino della frutta e dell’aceto Drosophila melanogaster.

La maggior parte dei dati emersi dagli studi precedenti supporta la possibilità che l’efficacia dell’inibizione di KMO derivi dalla normalizzazione di uno squilibrio fra metaboliti KP neurotossici e neuroprotettivi. In particolare, si determinerebbe uno squilibrio fra 3-idrossichinurenina (3-HK) e acido quinolinico (QUIN) neurotossici, da una parte, ed acido chinurenico (KYNA) neuroprotettivo, dall’altra. Non è invece chiaro se l’inibizione di TDO risulti protettiva con un meccanismo analogo o se è invece dovuta ad accresciuti livelli di triptofano, cioè del substrato dell’enzima TDO.

Breda e colleghi, in breve, hanno rilevato che aumentati livelli di KYNA relativi a 3-HK sono probabilmente centrali alla protezione conferita dall’inibizione di TDO in un modello della malattia di Huntington nel moscerino della frutta e che il trattamento con triptofano riduce fortemente la neurodegenerazione spostando il flusso della via metabolica KP verso la sintesi di KYNA. In modelli, sempre in Drosophila, di malattia di Alzheimer e malattia di Parkinson, i ricercatori hanno trovato un’evidenza genetica che l’inibizione di TDO o KMO migliora in modo apprezzabile la prestazione locomotoria degli insetti e prolunga la durata della vita, ridotta dalla malattia sperimentale, riducendo la neurodegenerazione particolarmente negli insetti affetti dal modello della malattia di Alzheimer umana.

Inoltre, in questi modelli, la sperimentazione di un inibitore chimico di TDO si è rivelata altamente protettiva.

In conclusione, i risultati dello studio di Breda e colleghi costituiscono un supporto convincente all’intervento sulla KP come potenziale strategia di trattamento per varie patologie neurodegenerative, fra le principali della clinica neurologica, e suggeriscono che modificazioni nei livelli dei metaboliti neuroattivi della via della chinurenina potrebbero determinare vari effetti terapeutici da approfondire con ulteriori ricerche.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-30 aprile 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si ricorda che questa strategia è stata impiegata nella ricerca clinica finalizzata alla valutazione dell’importanza della 5-HT nel meccanismo d’azione di vari psicofarmaci.

[2] Detta anche vitamina B3 o PP (da Pellagra Preventis o, in inglese, pellagra-preventing) per lo storico impiego nella prevenzione della pellagra, è in senso proprio l’acido nicotinico, anche se talvolta con il termine niacina si indica anche l’ammide di quest’acido, cioè la nicotinammide.

[3] Per introdursi alle caratteristiche patologiche comuni e distintive delle principali malattie neurodegenerative, si consiglia l’interessante capitolo (41) di Lill, Tanzi e Bertram sulla genetica di questi disturbi in Brady S. T., et al., Basic Neurochemistry (8th ed.), Academic Press, 2012.